mercoledì 14 settembre 2016

Il trasferimento dei dipendenti per cambio appalto dopo le modifiche introdotte dalla L. 122/2016

La Legge n. 122 del 7 luglio 2016 all'art. 30 introduce importanti modifiche nelle successioni in appalto, ovvero al passaggio da un imprenditore a un altro della gestione del servizio concesso in affidamento e delle relative tutele a riguardo dei lavoratori dipendenti impiegati dal soggetto uscente.

Prima di analizzare le modifiche apportate dal nuovo testo legislativo che apporta variazioni all'art. 29, comma 3, del D.Lgs 276/2003, è opportuno ricordare che quest'ultimo escludeva, in caso di successione di appalto, il configurarsi della fattispecie del "trasferimento d'azienda" e, quindi,non permettendo l'applicazione delle tutele ex art. 2112 c.c. in relazione al passaggio dei lavoratori dipendenti in capo al soggetto subentrante.

ARTICOLO 2112  c.c.
Mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento d'azienda

In caso di trasferimento d'azienda, il rapporto di lavoro continua con il cessionario ed il lavoratore conserva tutti i diritti che ne derivano.
Il cedente ed il cessionario sono obbligati, in solido, per tutti i crediti che il lavoratore aveva al tempo del trasferimento. Con le procedure di cui agli articoli 410 e 411 del codice di procedura civile il lavoratore può consentire la liberazione del cedente dalle obbligazioni derivanti dal rapporto di lavoro.
Il cessionario è tenuto ad applicare i trattamenti economici e normativi previsti dai contratti collettivi nazionali, territoriali ed aziendali vigenti alla data del trasferimento, fino alla loro scadenza, salvo che siano sostituiti da altri contratti collettivi applicabili all'impresa del cessionario. L'effetto di sostituzione si produce esclusivamente fra contratti collettivi del medesimo livello.
Ferma restando la facoltà di esercitare il recesso ai sensi della normativa in materia di licenziamenti, il trasferimento d'azienda non costituisce di per sè motivo di licenziamento. Il lavoratore, le cui condizioni di lavoro subiscono una sostanziale modifica nei tre mesi successivi al trasferimento d'azienda, può rassegnare le proprie dimissioni con gli effetti di cui all'articolo 2119, primo comma.
Ai fini e per gli effetti di cui al presente articolo si intende per trasferimento d'azienda qualsiasi operazione che, in seguito a cessione contrattuale o fusione, comporti il mutamento nella titolarità di un'attività economica organizzata, con o senza scopo di lucro, preesistente al trasferimento e che conserva nel trasferimento la propria identità a prescindere dalla tipologia negoziale o dal provvedimento sulla base del quale il trasferimento è attuato ivi compresi l'usufrutto o l'affitto di azienda. Le disposizioni del presente articolo si applicano altresì al trasferimento di parte dell'azienda, intesa come articolazione funzionalmente autonoma di un'attività economica organizzata, identificata come tale dal cedente e dal cessionario al momento del suo trasferimento. 
Nel caso in cui l'alienante stipuli con l'acquirente un contratto di appalto la cui esecuzione avviene utilizzando il ramo d'azienda oggetto di cessione, tra appaltante e appaltatore opera un regime di solidarietà di cui all'articolo 29, comma 2, del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276. 

Con l'entrata in vigore della L. 122/2016, ovvero a decorrere dal 23 luglio 2016, l'art. 30 del succitato testo normativo recepisce i principi della Direttiva Europea 2001/23/CEE che prende in esame tutte quelle ipotesi in cui al cambio di titolarità in appalto si verifica anche la titolarità del rapporto di lavoro quindi risulterebbe applicabile la tutela come disposta dall'art. 2112 c.c.

Legge 122/2016 Capo VI 
Disposizioni in materia di occupazione 
Art. 30. 
Disposizioni in materia di diritti dei lavoratori a seguito di subentro di un nuovo appaltatore. 
Caso EU Pilot 7622/15/EMPL 
1. All'articolo 29 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, il comma 3 è sostituito dal seguente: «3. L'acquisizione del personale già impiegato nell'appalto a seguito di subentro di nuovo appaltatore dotato di propria struttura organizzativa e operativa, in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro o di clausola del contratto d'appalto, ove siano presenti elementi di discontinuità che determinano una specifica identità di impresa, non costituisce trasferimento d'azienda o di parte d'azienda».

In pratica l'art. 30 della Legge 122/2016 pone come "requisito" determinante l'applicabilità delle tutele ex art. 2112 c.c. la "continuità" dei mezzi e organizzazione imprenditoriale ovvero tutti i casi in cui nella successione d'appalto il nuovo imprenditore subentra alla medesima organizzazione imprenditoriale già costruita e gestita dal soggetto uscente senza, quindi, il ricorso a mezzi, beni e organizzazione diversi da quelle impiegate in precedenza.

lunedì 12 settembre 2016

Fondo di solidarietà residuale: le istruzioni INPS nella Circolare 176/2016

Con la Circolare 176/2016 dello scorso 09 settembre 2016 l'INPS fornisce indicazioni operative sul Fondo di solidarietà residuale, ora gestito per mezzo del Fondo di Integrazione salariale istituito con l'entrata in vigore del D.Lgs 148/2015.

Ricordiamo che il Fondo di solidarietà residuale istituito dalla legge n. 92/2012,  prevedeva, a decorrere dal 1° gennaio 2014, l’attivazione di un Fondo di solidarietà residuale volto a tutelare, in costanza di rapporto di lavoro, il reddito dei lavoratori dipendenti dalle imprese – con più di quindici dipendenti – appartenenti ai settori, tipologie e classi dimensionali non rientranti nel campo di applicazione della normativa in materia d'integrazione salariale, laddove non fossero stati stipulati accordi collettivi volti all’attivazione di fondi di solidarietà bilaterali o fondi di solidarietà bilaterali alternativi.

Il Fondo di solidarietà residuale è stato adeguato, a decorrere dal 1 gennaio 2016, alle disposizioni del D.lgs 148/2015 e ha assunto la denominazione di Fondo di integrazione salariale con la medesima funzione del Fondo residuale, del quale eredita la gestione, continuando a rappresentare l’unico modello di Fondo di solidarietà obbligatorio per legge che prescinde da un accordo costitutivo delle parti sociali rappresentative, ricomprendendo nel proprio campo di applicazione tutti i datori di lavoro che non sono soggetti alla disciplina della cassa integrazioni guadagni ordinaria e straordinaria e che appartengono a settori nell’ambito dei quali non sono stati stipulati accordi volti all’attivazione di un Fondo di solidarietà bilaterale di cui all’art. 26, ovvero a un Fondo di solidarietà bilaterale alternativo di cui all’art. 27 del D.lgs 148/2015.

Datori di lavoro destinatari

L’art. 26, c. 7, del D.lgs 148/2015 sancisce l’obbligatorietà dell’istituzione dei Fondi di solidarietà per tutti i datori di lavoro appartenenti a settori, tipologie e classi dimensionali esclusi dall’ambito di applicazione della cassa integrazione guadagni sia ordinaria che straordinaria e che occupano mediamente più di cinque dipendenti, innovando l’ambito di applicazione della disciplina dei Fondi rispetto al previgente sistema normativo, nel quale l’ambito di applicazione era riferito a imprese con più di quindici dipendenti.

Destinatari del Fondo di integrazione salariale 

A norma dell’art. 3, c. 1, del D.I. n. 94343/2016, sono destinatari delle prestazioni del Fondo di integrazione salariale i lavoratori con contratto di lavoro subordinato, ricompresi gli apprendisti con contratto di lavoro professionalizzante, con esclusione dei dirigenti e dei lavoratori a domicilio. Restano inoltre esclusi i lavoratori con contratto di apprendistato per la qualifica e il diploma professionale, il diploma di istruzione secondaria superiore e il certificato di specializzazione tecnica superiore e i lavoratori con contratto di apprendistato di alta formazione e ricerca. 
Si sottolinea che, al fine di poter beneficiare delle prestazioni del Fondo di integrazione salariale, è richiesto che i suddetti lavoratori abbiano – alla data di presentazione della domanda di concessione del trattamento di integrazione salariale – un’anzianità di almeno 90 giorni di effettivo lavoro presso l’unità produttiva in riferimento alla quale è stata presentata la domanda.


venerdì 22 luglio 2016

Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali con la nota n. 13792 del 12 luglio 2016 fornisce indicazioni operative circa l'imputazione del provvedimento di sospensione dell'attività imprenditoriale.
Con la suddetta nota il MLPS chiarisce che destinataria del provvedimento è sempre l'azienda stessa quale unica obbligata e non anche il legale rappresentante (salvo i casi di ditta individuale in cui le due figure sono coincidenti).

Di seguito il testo della Nota Ministeriale.

Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali
Nota 12 luglio 2016, prot. n. 37/0013792
Oggetto: Modalità operative in caso di inottemperanza al pagamento dell’importo residuo della somma richiesta ai fini della revoca della sospensione ex art. 14, comma 5 bis, del D. Lgs. n. 81/2008. Istituzione nuovi codici per l’iscrizione a ruolo.
Facendo seguito alle note nn. prot. 10084 del 18/5/2016 e 13200 del 5/7/2016 di pari oggetto si forniscono di seguito ulteriori indicazioni per effettuare l’iscrizione a ruolo degli importi residui di cui all’art. 14, comma 5 bis, D. Lgs. n. 81/2008.
In particolare si richiama l’attenzione sulla corretta imputazione delle somme oggetto delle relative iscrizioni a ruolo che dovranno essere riferite esclusivamente all’impresa destinataria del provvedimento di sospensione e non al soggetto persona fisica che ricopre la carica di responsabile legale della stessa.
Ciò in quanto la somma dovuta ai fini della revoca del provvedimento e per la riapertura dell’attività non riveste la natura di sanzione amministrativa trattandosi di una mera somma aggiuntiva il cui versamento è condizione necessaria per la riapertura dell’attività sospesa.
Quanto sopra emerge con chiarezza già da quanto precisato nella circolare di questo Ministero n. 33/2009, laddove nel ripercorrere i presupposti per l’adozione del provvedimento di sospensione, affrontando la parte relativa alle gravi e reiterate violazioni in materia di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro, si precisava che “le violazioni da prendere in considerazione ai fini dell’adozione del provvedimento, sono evidentemente tutte quelle commesse successivamente all’entrata in vigore del D. Lgs. n. 106/2009 (20 agosto u.s.) – in osservanza del principio di legalità che, anche in tali casi, occorre richiamare – e riferibili alla medesima impresa, indipendentemente dalla persona fisica sanzionata e che ha agito per conto della stessa”.
Anche alla luce di un’interpretazione operata sul piano sistematico, va evidenziato che il legislatore, in altri ambiti, pone a carico dell’impresa effetti che non hanno carattere sanzionatorio quali conseguenze delle violazioni materialmente commesse dai soggetti aventi la rappresentanza legale; si consideri ad esempio l’art. 8 del D.M. 30/1/2015 in materia di DURC on line secondo cui “Ai fini del godimento di benefici normativi e contributivi sono ostative alla regolarità, ai sensi dell’art. 1, comma 1175, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, le violazioni di natura previdenziale ed in materia di tutela delle condizioni di lavoro individuate nell’allegato A, che costituisce parte integrante del presente decreto, da parte del datore di lavoro o del dirigente responsabile, accertate con provvedimenti amministrativi o giurisdizionali definitivi, inclusa la sentenza di cui all’art. 444 del codice di procedura penale. Non rileva l’eventuale successiva sostituzione dell’autore dell’illecito.’
Alla luce delle considerazioni appena svolte si deve ritenere che il destinatario unico del provvedimento di sospensione e dei suoi effetti compreso l’obbligo di versare la predetta somma aggiuntiva sia l’impresa la cui attività è stata oggetto del provvedimento di sospensione.
Per quanto sopra, in sede di iscrizione a ruolo delle somme in argomento occorrerà indicare esclusivamente l’impresa come unica obbligata.
In proposito è appena il caso di evidenziare che affinché possa considerarsi correttamente perfezionata la procedura di iscrizione a ruolo, la notificazione del provvedimento di revoca della sospensione dovrà essere effettuata nei confronti dell’impresa seguendo le indicazioni contenute nella modulistica attualmente in uso sul sistema SGIL.
Dal punto di vista procedurale va infine precisato che – a causa dell’impossibilità tecnica di far partire il conteggio degli interessi legali da una data antecedente rispetto a quella di notifica del provvedimento di accoglimento dell’istanza di pagamento dilazionato – gli uffici in indirizzo dovranno sempre indicare, ai fini del conteggio degli interessi, la data di notificazione di quest’ultimo provvedimento anziché quella della presentazione della istanza di revoca. Ciò anche nei residuali casi in cui le due date non coincidano.

martedì 21 giugno 2016

Disconoscimento della trasferta e sanzionabilità di infedele registrazione sul LUL

Con la nota 11885 del 14/06/2016 il Ministero del Lavoro chiarisce il regime sanzionatorio applicabile al datore di lavoro in caso l'ispettore, in sede di accertamento, rilevi una rilevazione inesistente o inesatta o impropria di emolumenti a titolo di trasferta.

Parliamo, nello specifico, dei seguenti casi:
  • Rilevazione inesistente nel caso in cui le competenze erogate a titolo di trasferta sono utilizzate per compensare prestazioni lavorative
  • Rilevazione inesatta nel caso in cui le somme erogate a titolo di trasferta siano erroneamente assoggettate alla franchigia di esenzione di cui all'art. 51, comma 5, D.P.R. 917/1986 (TUIR) allorquando la stessa non sia riscontrabile in quanto effettuata nel comune sede della prestazione lavorativa, quindi totalmente imponibile; altro caso 
  • Rilevazione impropria nel caso in cui l'indennità erogata sia a monetizzare l'attività in luoghi sempre variabili per la quale, ricordiamo, esiste una specifica indennità assoggettata a uno specifico regime fiscale/contributivo
In tutti i questi casi, che certamente rileverebbero delle conseguenze in termini di ricalcolo delle dovute ritenute fiscali e previdenziali a carico del datore di lavoro e del lavoratore (in relazione alla loro diversa imponibilità), il Legislatore rileva anche delle conseguenze di natura lavoristica legate alla infedele registrazione sul LUL per la rilevazione di un dato inesatto o inesistente.

 
 
 



Erogazione Servizi Professionali gratuiti: il parere dell'Agenzia delle Entrate

In questo articolo parliamo di come si sia espressa l'Agenzia delle Entrate di fronte all'accertamento di mancata fatturazione di prestazioni professionali a soggetti che, in relazione a un rapporto di amicizia o un "favore reso", vengono rese "gratuitamente. 
Gli unici soggetti per i quali viene riconosciuta la gratuità della prestazione sono i congiunti del titolare dello studio.
 
La questione potrebbe essere interessante da approfondire soprattutto in questo periodo in cui si procede alla compilazione e trasmissione telematica delle dichiarazioni dei redditi in quanto sono nel mirino, appunto, le trasmissioni telematiche che, a seguito di accertamento, non siano state fatturate.
 
A riguardo l'AdE si è espressa affermando che l'iter di accertamento che potrebbe avviare è di tipo analitico induttivo, ovvero i maggiori ricavi a carico del professionista sono calcolati in relazione a una mancata coincidenza della trasmissione telematica della dichiarazione con la relativa fattura fiscale al soggetto dichiarante.
 
Ovviamente, soprattutto per le prestazioni rese a soggetti titolari di partita iva, l'accertamento e il maggior ricavo  della "gratuita" compilazione e trasmissione telematica della dichiarazione rischia di estendersi anche alle prestazioni accessorie come quelle della tenuta della contabilità.
 
I presunti maggiori ricavi sono quelli previsti nella tabella C allegata al DM 140/2012 ovvero:

  • 170 euro per ogni dichiarazione dei redditi di contribuenti senza partita iva
  • 470 euro per ogni dichiarazione di persone fisiche titolari di partita iva
  • 570 euro per ogni dichiarazione delle società di persone
  • 670 euro per ogni dichiarazione delle società di capitali.

venerdì 17 giugno 2016

Lavoro Accessorio: le modifiche previste dal decreto correttivo

Nel CDM dello scorso 10 giugno 2016 sono state approvate in via preliminare le prime disposizioni correttive della L. 183/2014 (Jobs Act) apportando, nello specifico, variazioni ai dei decreti legislativi 15 giugno 2016, n. 81, e 14 settembre 2015, nn. 148, 149, 150 e 151, ai sensi dell’art. 1, comma 13, della legge 10 dicembre 2014, n. 183.

In relazione al D.Lgs 81/2015 le modifiche riguarderanno il lavoro accessorio che, nell'ottica di limitarne un utilizzo illegittimo, mireranno a una più stringente tracciabilità.

Alla stregua di quanto previsto già per il lavoro intermittente, anche per le prestazioni di lavoro accessorio si prevede che i committenti imprenditori non agricoli o professionisti sono tenuti, almeno 60 minuti prima dell'inizio della prestazione di lavoro accessorio, a comunicare alla sede territoriale dell’Ispettorato nazionale del lavoro, mediante sms o posta elettronica, i dati anagrafici o il codice fiscale del lavoratore, il luogo e la durata della prestazione. 

I committenti imprenditori agricoli sono tenuti a comunicare, nello stesso termine e con le stesse modalità di cui al primo periodo, i dati anagrafici o il codice fiscale del lavoratore, il luogo e la durata della prestazione con riferimento ad un arco temporale non superiore a 7 giorni. 

In caso di violazione degli obblighi di comunicazione si applica la medesima sanzione prevista per il lavoro intermittente ovvero la sanzione amministrativa da euro 400 a 2.400 euro in relazione a ciascun lavoratore per cui è stata omessa la comunicazione. 

Si specifica, inoltre, che, trattandosi di violazione non sanabile a posteriori, non si applica la procedura di diffida di cui all’articolo 13 del decreto legislativo 23 aprile 2004, n. 124. 


Fonte: Ministero Lavoro e Politiche Sociali

venerdì 10 giugno 2016

Videosorveglianza non autorizzata: Nota MLPS n. 11241 del 1 giugno 2016

Con la nota n. 11241 del 1 giugno 2016 il Ministero del Lavoro fornisce precisazioni in merito alla sanzionabilità dell'illecita installazione di impianti di videosorveglianza nei luoghi di lavoro, ovvero in mancanza di accordo sindacale o autorizzazione rilasciata dalla sede territoriale competente del Ministero del Lavoro.

Infatti, ai sensi delle disposizioni ex art. 4 L. 300/1970 e della revisione apportata ex art. 23 D.Lgs 151/2015 in materia di installazione di impianti audiovisivi e controllo a distanza installati sui luoghi di lavoro, il Legislatore specifica la necessità di preventivo accordo sindacale o autorizzazione ministeriale affinché suddetti impianti possano essere installati.

Di fatti qualora in sede di ispezione fosse accertata l'installazione fisica dell'impianto non autorizzato (anche nel caso di telecamere “finte” montate a scopo esclusivamente dissuasivo), seppur questo non in funzione, si rileverebbe in ogni caso l'illecito punito con ammenda da € 154 a € 1.549 o arresto da 15 giorni ad un anno (art. 38 della legge n. 300/1970), salvo che il fatto non costituisca reato più grave.

In questi casi l'organo ispettivo che avrà rilevato l'illecito impartirà una prescrizione, ai sensi dell’art. 20 del d.lgs. n. 758/1994, per la rimozione del materiale degli impianti audiovisivi entro un termine non eccedente il periodo di tempo tecnicamente "congruo" e necessario.

Qualora entro la scadenza dei termini stabiliti nella prescrizione il datore di lavoro provveda ad ottenere l'autorizzazione o a siglare accordo sindacale, l’ispettore potrà ammettere “il contravventore a pagare in sede amministrativa, nel termine di trenta giorni, una somma pari al quarto del massimo dell’ammenda stabilità per la contravvenzione commessa” (art. 21 d.lgs. n. 758/1994).